#MafiaCapitale strumentale all'ultimo smembramento dello Stato sociale
Il vero ostacolo sta nel convincere chi ancora crede che la realtà sia quella del gioco delle ombre.
L’inchiesta “Mafia Capitale” è per gli amanti della società minima, priva di uno Stato regolatore, l’occasione
per domandare il definitivo passaggio e abbandono degli ultimi residui
costituzionali dello Stato sociale, che aveva costruito l’economia del
benessere dal secondo dopoguerra fino agli anni’90. Il liberismo, si
dice, è la cura del male, quella panacea che consentirebbe allo stato
contemporaneo di emanciparsi dal cancro della corruzione. Il libero
mercato regolerebbe automaticamente i bisogni tra domanda e offerta, togliendo l’ostacolo statale,
vero e proprio ingombro per i piani degli speculatori, i quali
domandano ancora maggiore libertà d’azione, tale da ampliare a dismisura
il loro raggio d’azione e renderli completamente padroni e arbitri dei
destini di milioni di cittadini, non più tutelati dallo scudo
costituzionale e dai principi fondamentali; su tutti l’obiettivo e il
dovere di realizzare l’uguaglianza sostanziale, che passa dalla
rimozione di quegli ostacoli e barriere socio-economiche connaturati ad
una società priva di un soggetto decidente e risolutore, lo Stato
sociale.
Nella trasformazione occorsa nell’ultimo ventennio di accadimenti politici, possiamo già affermare che viviamo in una società senza Stato, al quale sono state sottratte da tempo tutte le prerogative fondamentali d’intervento e di risoluzione dei conflitti sociali. Se la corruzione e il malaffare prosperano ancora di più che nella stagione della prima Repubblica, non è certo perché lo Stato abbia utilizzato poteri pregnanti e invasivi, lesivi delle libertà personali dei cittadini, ma specularmente ciò è stato possibile proprio grazie all’uscita di scena del soggetto naturalmente portato ad arginare la brama delle elite sempre più desiderose di guadagnare fette di mercato, basandosi su un’agenda priva di diritti sociali e ricca di principi incostituzionali e antisociali.
Nel 1992 il primo epocale passaggio non è stato rappresentato solamente dall’intervento di un soggetto nuovo, la magistratura, nel ricambio e nella distruzione di una classe dirigente, ma soprattutto dal Trattato di Maastricht al quale abdicò l’intero arco parlamentare ( con l’eccezione del Movimento Sociale e di Rifondazione Comunista) , così da introdurre un modello nuovo, più simile al liberismo dei primi del’900 quando era il censo e l’appartenenza ad un determinato ceto sociale a decidere in quale gradino della piramide sociale, il cittadino avrebbe dovuto collocarsi. Il concetto stesso di aiuti di Stato, sanzionati e proibiti dai Trattati, rappresenta un’antinomia inconciliabile con l’art.41 e l’art. 43 che prevedono un intervento diretto della mano pubblica quando sono in gioco interessi che toccano le sorti della collettività nazionale. Stabilire una soccombenza dello Stato a interessi di mercato, vuol dire rinunciare implicitamente alla realizzazione dei diritti sociali.
Dopo vent’anni di politiche economiche restrittive, di avanzi primari e rinuncia di tutti i diritti sociali conquistati dopo decenni di lotte, si domanda un passaggio ancora più incisivo: un liberismo completo e totalitario che instauri lo Stato minimo di Von Hayek e di Von Mises. Il modello anglosassone è ancora una volta la pietra di paragone con la quale siamo chiamati, nostro malgrado, a confrontarci. Un modello che non prevede la sanità pubblica, dove le carceri sono privatizzate e si registra il più alto numero di detenuti al mondo. Una società deregolamentata nella quale le lobby non hanno problemi ad attuare o praticare forme di lobbismo nei confronti dei due principali partiti politici, il Partito Repubblicano e il Partito Democratico, poiché esiste un registro pubblico che consente di sapere quale banca o industria multinazionale foraggi il gruppo politico di turno, e di conseguenza non è difficile immaginare perché un gruppo politico persegua politiche economiche che vanno contro l’interesse del 95% della comunità. Non c’è alcun bisogno di contrastare la corruzione, essa è una forma di scambio legalizzata che avviene alla luce del sole senza alcuna forma di ipocrisia.
Questo il modello che si domanda all’Italia: rinunciare agli ultimi bastioni di sovranità e di diritti sociali per lasciare alla mano privata tutti i servizi essenziali minimi da garantire ai cittadini. Non è qualcosa di remoto o di lontanamente immaginario, è già presente da tempo viste le difficoltà di accesso all’università e i costi crescenti della sanità pubblica sempre più indebolita dai tagli della spesa primaria. La limitazione del diritto allo studio e delle cure sanitarie, sono il ripristino della società dei pochi eletti, del censo privilegiato al quale è concessa l’ascensione sociale solamente ai notabili delle ricche famiglie. Dei diritti innati, tutelati dall’appartenenza di sangue e alle dinastie dei poteri forti. I padri della Costituzione, seppero intuire che senza l’essenziale funzione dello Stato, l’individualismo avrebbe regnato sui rapporti sociali, portandoli all’inevitabile logoramento e disequilibrio.
Come rilevò magistralmente il Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini nei lavori di stesura della Costituzione: “ Se le prime enunciazioni dei diritti dell'uomo erano avvolte da un'aureola d'individualismo, si è poi sviluppato, attraverso le stesse lotte sociali, il senso della solidarietà umana. Le dichiarazioni dei doveri si accompagnano mazzinianamente a quelle dei diritti. Contro la concezione tedesca che riduceva a semplici riflessi i diritti individuali, diritti e doveri avvincono reciprocamente la Repubblica ed i cittadini. Caduta la deformazione totalitaria del «tutto dallo Stato, tutto allo Stato, tutto per lo Stato», rimane pur sempre allo Stato, nel rispetto delle libertà individuali, la suprema potestà regolatrice della vita in comune. «Lo Stato — diceva Mazzini — non è arbitrio di tutti, ma libertà operante per tutti, in un mondo il quale, checché da altri si dica, ha sete di autorità». Spetta ai cittadini di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica, rendendo effettiva e piena la sovranità popolare. Spetta alla Repubblica di stabilire e difendere, con l'autorità e con la forza che costituzionalmente le sono riconosciute, le condizioni di ordine e di sicurezza necessarie perché gli uomini siano liberati dal timore e le libertà di tutti coesistano nel comune progresso.” Qualora la Repubblica cessi di tutelare i suoi cittadini, rinunciando alle attribuzioni fondamentali che le sono riconosciute, si entra in un sistema nuovo, non più democratico. Senza diritto all’occupazione, ad un salario dignitoso, all’istruzione e alle cure sanitarie non c’è democrazia. Resta la società liberista ottocentesca della domanda e dell’offerta che realizzano un equilibrio perfetto solamente per le classi alte.
La società liberista è l’espressione più subdola dell’autoritarismo contemporaneo, dando l’illusione ai suoi appartenenti di vivere in una società democratica, colma dei diritti di quarta generazione ma spogliata dei diritti di seconda generazione, senza i quali non è possibile una realizzazione piena ed effettiva delle condizioni essenziali del cittadino pensato dalla Costituzione. Della costituzione americana c’è un’espressione che forse fa al nostro caso: il diritto alla felicità. Abbiamo il diritto di essere felici e di godere appieno dei diritti che non ci sono stati “concessi”, ma guadagnati con il sangue delle generazioni del secolo scorso. La Repubblica ha il diritto-dovere di aumentare la sua spesa pubblica, di ridurre le imposte, e di raggiungere la piena occupazione. Qualora un Trattato o accordo internazionale stabilisse una gerarchia rovesciata, sottomettendo i diritti sociali al divieto di indebitamento e di deficit statale, esso deve essere rigettato inevitabilmente poiché la sua applicazione comprometterebbe il funzionamento dello Stato e la somministrazione dei servizi pubblici. Come nel mito della caverna di Platone, i prigionieri credono che il gioco delle ombre proiettate sul muro rappresenti la realtà del mondo esterno, così nella società odierna molti credono che il mondo reale sia la rappresentazione trasmessa dai mass-media. Il vero ostacolo sta nel convincere chi ancora crede che la realtà sia quella del gioco delle ombre.
Nella trasformazione occorsa nell’ultimo ventennio di accadimenti politici, possiamo già affermare che viviamo in una società senza Stato, al quale sono state sottratte da tempo tutte le prerogative fondamentali d’intervento e di risoluzione dei conflitti sociali. Se la corruzione e il malaffare prosperano ancora di più che nella stagione della prima Repubblica, non è certo perché lo Stato abbia utilizzato poteri pregnanti e invasivi, lesivi delle libertà personali dei cittadini, ma specularmente ciò è stato possibile proprio grazie all’uscita di scena del soggetto naturalmente portato ad arginare la brama delle elite sempre più desiderose di guadagnare fette di mercato, basandosi su un’agenda priva di diritti sociali e ricca di principi incostituzionali e antisociali.
Nel 1992 il primo epocale passaggio non è stato rappresentato solamente dall’intervento di un soggetto nuovo, la magistratura, nel ricambio e nella distruzione di una classe dirigente, ma soprattutto dal Trattato di Maastricht al quale abdicò l’intero arco parlamentare ( con l’eccezione del Movimento Sociale e di Rifondazione Comunista) , così da introdurre un modello nuovo, più simile al liberismo dei primi del’900 quando era il censo e l’appartenenza ad un determinato ceto sociale a decidere in quale gradino della piramide sociale, il cittadino avrebbe dovuto collocarsi. Il concetto stesso di aiuti di Stato, sanzionati e proibiti dai Trattati, rappresenta un’antinomia inconciliabile con l’art.41 e l’art. 43 che prevedono un intervento diretto della mano pubblica quando sono in gioco interessi che toccano le sorti della collettività nazionale. Stabilire una soccombenza dello Stato a interessi di mercato, vuol dire rinunciare implicitamente alla realizzazione dei diritti sociali.
Dopo vent’anni di politiche economiche restrittive, di avanzi primari e rinuncia di tutti i diritti sociali conquistati dopo decenni di lotte, si domanda un passaggio ancora più incisivo: un liberismo completo e totalitario che instauri lo Stato minimo di Von Hayek e di Von Mises. Il modello anglosassone è ancora una volta la pietra di paragone con la quale siamo chiamati, nostro malgrado, a confrontarci. Un modello che non prevede la sanità pubblica, dove le carceri sono privatizzate e si registra il più alto numero di detenuti al mondo. Una società deregolamentata nella quale le lobby non hanno problemi ad attuare o praticare forme di lobbismo nei confronti dei due principali partiti politici, il Partito Repubblicano e il Partito Democratico, poiché esiste un registro pubblico che consente di sapere quale banca o industria multinazionale foraggi il gruppo politico di turno, e di conseguenza non è difficile immaginare perché un gruppo politico persegua politiche economiche che vanno contro l’interesse del 95% della comunità. Non c’è alcun bisogno di contrastare la corruzione, essa è una forma di scambio legalizzata che avviene alla luce del sole senza alcuna forma di ipocrisia.
Questo il modello che si domanda all’Italia: rinunciare agli ultimi bastioni di sovranità e di diritti sociali per lasciare alla mano privata tutti i servizi essenziali minimi da garantire ai cittadini. Non è qualcosa di remoto o di lontanamente immaginario, è già presente da tempo viste le difficoltà di accesso all’università e i costi crescenti della sanità pubblica sempre più indebolita dai tagli della spesa primaria. La limitazione del diritto allo studio e delle cure sanitarie, sono il ripristino della società dei pochi eletti, del censo privilegiato al quale è concessa l’ascensione sociale solamente ai notabili delle ricche famiglie. Dei diritti innati, tutelati dall’appartenenza di sangue e alle dinastie dei poteri forti. I padri della Costituzione, seppero intuire che senza l’essenziale funzione dello Stato, l’individualismo avrebbe regnato sui rapporti sociali, portandoli all’inevitabile logoramento e disequilibrio.
Come rilevò magistralmente il Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini nei lavori di stesura della Costituzione: “ Se le prime enunciazioni dei diritti dell'uomo erano avvolte da un'aureola d'individualismo, si è poi sviluppato, attraverso le stesse lotte sociali, il senso della solidarietà umana. Le dichiarazioni dei doveri si accompagnano mazzinianamente a quelle dei diritti. Contro la concezione tedesca che riduceva a semplici riflessi i diritti individuali, diritti e doveri avvincono reciprocamente la Repubblica ed i cittadini. Caduta la deformazione totalitaria del «tutto dallo Stato, tutto allo Stato, tutto per lo Stato», rimane pur sempre allo Stato, nel rispetto delle libertà individuali, la suprema potestà regolatrice della vita in comune. «Lo Stato — diceva Mazzini — non è arbitrio di tutti, ma libertà operante per tutti, in un mondo il quale, checché da altri si dica, ha sete di autorità». Spetta ai cittadini di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica, rendendo effettiva e piena la sovranità popolare. Spetta alla Repubblica di stabilire e difendere, con l'autorità e con la forza che costituzionalmente le sono riconosciute, le condizioni di ordine e di sicurezza necessarie perché gli uomini siano liberati dal timore e le libertà di tutti coesistano nel comune progresso.” Qualora la Repubblica cessi di tutelare i suoi cittadini, rinunciando alle attribuzioni fondamentali che le sono riconosciute, si entra in un sistema nuovo, non più democratico. Senza diritto all’occupazione, ad un salario dignitoso, all’istruzione e alle cure sanitarie non c’è democrazia. Resta la società liberista ottocentesca della domanda e dell’offerta che realizzano un equilibrio perfetto solamente per le classi alte.
La società liberista è l’espressione più subdola dell’autoritarismo contemporaneo, dando l’illusione ai suoi appartenenti di vivere in una società democratica, colma dei diritti di quarta generazione ma spogliata dei diritti di seconda generazione, senza i quali non è possibile una realizzazione piena ed effettiva delle condizioni essenziali del cittadino pensato dalla Costituzione. Della costituzione americana c’è un’espressione che forse fa al nostro caso: il diritto alla felicità. Abbiamo il diritto di essere felici e di godere appieno dei diritti che non ci sono stati “concessi”, ma guadagnati con il sangue delle generazioni del secolo scorso. La Repubblica ha il diritto-dovere di aumentare la sua spesa pubblica, di ridurre le imposte, e di raggiungere la piena occupazione. Qualora un Trattato o accordo internazionale stabilisse una gerarchia rovesciata, sottomettendo i diritti sociali al divieto di indebitamento e di deficit statale, esso deve essere rigettato inevitabilmente poiché la sua applicazione comprometterebbe il funzionamento dello Stato e la somministrazione dei servizi pubblici. Come nel mito della caverna di Platone, i prigionieri credono che il gioco delle ombre proiettate sul muro rappresenti la realtà del mondo esterno, così nella società odierna molti credono che il mondo reale sia la rappresentazione trasmessa dai mass-media. Il vero ostacolo sta nel convincere chi ancora crede che la realtà sia quella del gioco delle ombre.
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