La lezione di Keynes: la pax europea non passa da Maastricht, ma dal suo superamento
Le politiche keynesiane sono il futuro
Definirsi keynesiano, oggi, non appare più come un’affermazione sacrilega o passatista. Le teorie economiche di John Maynard Keynes, uno degli economisti più importanti del XX secolo, intellettuale arguto, raffinato a tutto tondo i cui interessi toccavano la filosofia, la matematica e le scienze sociali, sono di estrema attualità per comprendere le ragioni di una crisi economica senza precedenti nella storia economica recente degli ultimi cento anni.
Keynes, negli anni’20 del secolo scorso, seppe rompere l’ortodossia dominante della scuola neoclassica, erede degli insegnamenti di John Stuart Mill e Ricardo, mettendo in discussione il principio dominante del laissez-faire, la legge di Say, secondo la quale è l’offerta a determinare la domanda e non il contrario. Keynes rovescia questa relazione per elaborare il principio della domanda effettiva, dove è la domanda a creare l’offerta e non viceversa. Se la domanda non sarà stimolata adeguatamente tramite l’ausilio di investimenti pubblici e della spesa statale, avremo sempre una disparità, un’ineguaglianza incolmabile tra domanda e offerta, e la disoccupazione sarà sempre un elemento costante nelle economie degli Stati.
Un buon economista, secondo Keynes, non deve considerare solamente l’astrattezza delle teorie economiche, ma porle in relazione con la realtà, plasmarle per donare l’effettività e l’efficacia che una determinata politica economica non può non avere. Gli economisti neoclassici dell’epoca, accolsero con ostilità e chiusura dottrinale le teorie keynesiane, arrivando a considerarle eretiche e prive di fondamento scientifico. La storia successivamente darà ragione a Keynes, poiché la sua dottrina economica che toccherà l’apice nel suo testo “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta“ del 1936 rappresenterà per le future generazioni, il caposaldo della macroeconomia moderna.
Il bozzolo dell’economia mista sboccia nelle idee keynesiane, arrivando a scuotere i governi e i politici degli anni’20 e ’30, definiti dall’economista britannico dei “pazzi al potere” che si rifiutavano di considerare l’inefficacia delle politiche economiche non interventiste, basate sull’astensionismo statale e incoraggianti una bassa propensione al consumo, conseguenza diretta della disoccupazione sistemica. Le critiche ai politici non erano lesinate, celebri i suoi attacchi a Woodrow Wilson, a Lloyd George con il quale poi si riconcilierà, e a Winston Churchill, reo di aver accettato una parità aurea troppo onerosa per la Gran Bretagna, pagando lo scotto di una disoccupazione più alta.
Una delle sue opere più importanti e magnifiche, “Le conseguenze economiche della pace” del 1919, preconizza gli effetti disastrosi che avrà il Trattato di Versailles ( firmato dagli Stati belligeranti nel 1919 al termine della prima guerra mondiale) sui paesi sconfitti, la Germania su tutti, costretta a pagare riparazioni di guerra ingentissime, tanto da causare l’iperinflazione successiva nell’economia tedesca dilaniata dall’alta disoccupazione. Inascoltato dagli Stati vincitori, Keynes che aveva preso parte alla Conferenza di Versailles come principale rappresentante del governo inglese per le questioni finanziarie, si dimise in polemica con i contenuti dell’accordo e scrisse questo pamphlet in polemica con le politiche scellerate degli Stati vincitori.
Nella sua lettera al primo ministro Lloyd George scriverà : ”Debbo informarla che sabato scivolo via dalla scena di questo incubo.. Ho sperato anche in queste ultime orribili settimane che lei potesse riuscire a fare del Trattato (di Pace) un documento giusto e utile.. Ma ora a quanto pare è tardi. La battaglia è persa. Lascio ai gemelli (Wilson e Clemenceau, ndr) di godersi la devastazione dell’Europa.." Le sue previsioni si riveleranno fondate, e solo molti anni dopo, gli Stati vincitori decideranno di sospendere il pagamento delle riparazioni tedesche, quando ormai la Germania era già avviata verso la china dell’autoritarismo nazista.
La lezione che la storia lascia, non ha trovato udienza nelle stanze dei governanti contemporanei.
Un trattato internazionale, il Trattato di Maastricht del 1992, sta rischiando seriamente di minare la convivenza civile e sociale dei popoli europei mettendone a rischio la stabilità economica, e polverizzando lo stato sociale. I parametri di Maastricht, come è stato ribadito in più sedi da illustri economisti, non godono di alcuna validità scientifica, sono frutto dell’arbitrarietà ideologica del pensiero neoliberale, che mette al centro degli obbiettivi economici il contenimento della spesa e la riduzione dell’inflazione. Una combinazione che sta facendo deflagrare le economie europee, strette nella morsa della deflazione, e vittime della trappola della liquidità che Keynes aveva previsto nelle situazioni di recessione come quelle odierne. Gli investitori privati, non saranno stimolati all’investimento e all’immissione di liquidità nel circuito monetario, se non sufficientemente motivati da una prospettiva di rendimento. La penuria di investimenti genererà conseguentemente una disoccupazione più alta, una riduzione del consumo e un eccesso di risparmio privato. Il settore privato è paralizzato, in attesa che le previsioni economiche future cambino e il solo soggetto che può invertire la tendenza recessiva, è lo Stato, con una politica di aumento della spesa pubblica e di investimenti nei lavori pubblici. Quando il settore pubblico aumenta gli investimenti, i privati avranno più benefici dalle politiche di lavori pubblici;le imprese private riceveranno appalti, i livelli occupazionali saliranno come ben descritto dal moltiplicatore di Kahn, economista amico di Keynes, anche lui appartenente al “circus” di economisti keynesiani al quale partecipava anche il nostro Piero Sraffa.
La natura della crisi attuale è senza dubbio di origine finanziaria, i mercati borsistici sono stati deregolamentati da tempo e l’investimento privato si è spostato sui titoli, su operazioni speculative che non generano né un incremento di reddito collettivo, né tantomeno un aumento dell’occupazione, poiché distraggono risorse dall’economia reale. Tra il 1929 e oggi, ci sono analogie sull’origine della crisi, ma le soluzioni attuate più di ottant’anni fa, riuscirono ad invertire il ciclo solo attraverso l’indebitamento statale ed in questo le politiche keynesiane sono il futuro, l’applicazione dell’economia mista e l’abbandono del laissez-faire; il modello della costituzione economica che potrà portare il Paese fuori dal baratro.
Come osservò argutamente Keynes: “tirare in ballo oggi lo spettro dell’inflazione per negare l’opportunità di spendere di più in conto capitale, è come mettere in guardia contro i pericoli dell’obesità un paziente che sta lasciandosi deperire per dimagrimento". Le politiche economiche europee sono antistoriche, scaturiscono da un modello mercantilista che la storia aveva seppellito e sono state riportate in auge grazie alla campagna martellante delle elite che hanno fatto di tutto per scansare il keynesianesimo, fumo negli occhi, e portare avanti la deregolamentazione economica e sociale delle società europee. Le argomentazioni logiche del liberismo economico sono simili a quelle del fatalismo cosmico, per le quali se un evento naturale come un terremoto o un’inondazione dovesse avere luogo, l’uomo non deve prendere provvedimenti né accorgimenti particolari per salvaguardarsi, ma deve rimanere spettatore passivo, inerme in attesa che tutto gli crolli addosso senza realizzare alcun tipo di intervento. Lo stesso avviene oggi, quando l’edificio ci sta crollando addosso perché si continuano ad abbatterne le fondamenta, senza che si facciano interventi di risanamento. Il nuovismo di Renzi altro non è che un ritorno alla società vittoriana del XIX secolo inglese, tra disparità sociali fortissime, diritti dei lavoratori calpestati e vilipesi, una sanità pubblica assente, e il reddito complessivo accumulato nelle mani di pochi capitalisti finanziari. Sono questi a dover scomparire, i “rentier”, gli speculatori finanziari che Keynes considerava come accumulatori di risorse a discapito dell’economia reale, allontanando i capitali dagli investimenti produttivi.
E’ questa forse la lezione più preziosa che il grande economista ci lascia; il ritorno all’economia mista sostenibile e di sviluppo che aveva per più di un quarantennio assicurato benessere e crescita economica all’Italia, prima di legarsi ad un modello economico retrivo e deflazionistico che sta prosciugando lo Stato sociale.
Il Trattato di Versailles del 1919 addossava alla Germania sanzioni ingiuste e onerose. Il Trattato di Maastricht oggi capovolge le parti , con la Germania in condizioni di dominio e preminenza sugli altri Stati membri, soccombenti per applicare un modello economico pensato e disegnato per il beneficio dello stato tedesco a discapito di tutti gli altri. L’auspicio è che non si ripeta l’errore di molti anni fa con Versailles, ignorando le conseguenze disastrose di accordi folli. Si impari dalla storia, si accantoni definitivamente un trattato che sta mettendo a rischio la pace e la stabilità sociale dell’Europa.
Il pensiero di Aldo Moro, delegato all’Assemblea Costituente del 1946, sono la sintesi perfetta del modello di riferimento della costituzione economica: “è effettivamente insostenibile la concezione liberale in materia economica, in quanto vi è necessità di un controllo in funzione dell'ordinamento più completo dell'economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere il maggiore benessere possibile. Quando si dice controllo della economia, non si intende però che lo Stato debba essere gestore di tutte le attività economiche, ma ci si riferisce allo Stato nella complessità dei suoi poteri e quindi in gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma le coordina, le disciplina e le orienta. Esprime la certezza che da questo controllo economico, nello Stato democratico, non nascerà un totalitarismo economico né politico. Lo Stato fascista non era uno Stato democratico, era anche nelle sue forme di controllo uno Stato delle classi capitalistiche, le quali non tutelavano gli interessi della collettività, ma tutelavano gli interessi della classe che rappresentavano. Non è possibile permettere che gli egoismi si affermino, ma è necessario porre la barriera dell'interesse collettivo come un orientamento e un controllo di carattere giuridico. Ed è nell'ambito di questo controllo che lo Stato permetterà delle iniziative individuali, finché rientrino nell'ordinamento generale, di svolgersi liberamente. E queste iniziative individuali sono consacrate con il riconoscimento della proprietà personale." L’europeismo e la pace tra gli stati europei non passa da Maastricht, ma dal suo superamento.
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