Un déjà vu chiamato Maastricht
1992-2014: uno stesso schema consolidato per cedere al “vincolo esterno”
Esiste forse un legame tra il 1992 e il 2014, un ricorso storico che lega queste due date? Nel 1992 il Paese si trovava sull’orlo di un grande stravolgimento politico e si consumò una lacerazione di cui ancora oggi portiamo il segno. Sul banco degli imputati della crisi istituzionale sistemica, finirono la corruzione della classe politica e l’eccessivo debito pubblico. Uno schema che vediamo ripetersi anche oggi, quando l’attenzione dei media è concentrata esclusivamente su questi due fenomeni, rappresentandoli come se l’uno fosse la conseguenza dell’altra e infondendo nella pubblica opinione quel senso di colpa per essere andati oltre i propri limiti, per “aver vissuto al di sopra delle nostre possibilità” come se tutto ciò che abbiamo vissuto in passato fosse stato un lusso che non potevamo più permetterci. Perciò, buoni e tranquilli, seguimmo le indicazioni che ci diedero i tecnici e non ci siamo chiesti perché mai un Paese che aveva toccato le vette dell’eccellenza a livello mondiale, precipitò in quell’abisso. Può essere ancora valida l’equazione corruzione uguale debito pubblico, propinata pedissequamente da media e giornalisti?
Viene spesso omesso che negli anni precedenti alla crisi del ‘92 ci fu lo smantellamento degli strumenti economici che
lo Stato aveva a disposizione per controllare la propria economia. Si
cominciò nel 1979 limitando la flessibilità valutaria della Lira con
lo SME (Sistema Monetario Europeo) padre dell’Euro, un accordo di cambi
fissi che permetteva agli speculatori di attaccare costantemente la
Lira, e si proseguì nel 1981 con il divorzio tra Bankitalia e Tesoro,
che come ammisero i loro stessi protagonisti Ciampi e Andreatta in uno
scambio epistolare, fece schizzare il debito pubblico oltre il 100% del
PIL in pochi anni impedendo la monetizzazione dei titoli di Stato che
permetteva di mantenere i livelli dei tassi di interesse a basse
percentuali. La bolla del debito era così nata, e si era messo in moto
il meccanismo per il quale gli stessi artefici del problema trovano la
soluzione, quella di iniettare massicce dosi di austerità e tagli alla
spesa sopprimendo le politiche dello Stato sociale. Le
conseguenze di questa operazione sono taciute da media, stampa e
economisti mainstream all’opinione pubblica convinta che il problema
scaturisca esclusivamente dalla corruzione e dal malaffare. Il
terreno per agganciare il Paese al vincolo esterno e privarlo
definitivamente della sua sovranità era così spianato e si iniziò con la
firma del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, con la cessione
della sovranità monetaria e legislativa e la previsione di limiti
all’indebitamento statale con il famigerato 3% di deficit sul PIL e il
tetto del 60% di debito pubblico/PIL, disinnescando la leva
dell’indebitamento statale prevista in Costituzione e creando un vulnus
tra i Trattati e la Costituzione ancora irrisolto. A distanza di dieci
giorni dalla firma venne arrestato Mario Chiesa ed è l’inizio di
un’ondata giudiziaria che avrebbe spazzato via l’intera classe
dirigente, fortemente indebolita dagli arresti e dai processi e che
approverà in quel clima di confusione e orgia moralizzatrice la ratifica
di Maastricht, senza che l’opinione pubblica avesse la minima idea delle conseguenze dell’integrazione forzata europea.
Mentre eravamo impegnati a rincorrere lo scippatore, lasciavamo la
porta di casa aperta e i ladri indisturbati si appropriavano dei
gioielli di famiglia. Volevamo castigare la classe politica per le sue
malefatte indiscutibili, ma nello stesso istante inconsciamente abbiamo
spalancato le porte della sovranità nazionale e permesso che la clava
del vincolo esterno ci governasse definitivamente convinti di essere
irredimibili e che fosse meglio farci governare da apparati di potere
esteri. Perché mai solamente in quell’anno la magistratura si
mosse per colpire la corruzione della classe politica, sancendo quello
che in realtà era un segreto di Pulcinella da decenni? Il Pool
di Mani Pulite divenne l’emblema dell’Italia giusta e retta e la
questione morale fu agitata come un panno rosso davanti agli italiani
che caricarono con tutta la loro furia i politici dell’epoca, fino ad
arrivare al famigerato lancio di monetine contro Craxi all’Hotel
Raphael. Il potere fu dissacrato e il popolo volle umiliare e
maramaldeggiare i cadaveri della Prima Repubblica e nel terremoto
giudiziario che sconquassava la Penisola riuscirono a sopravvivere solo i
dirigenti dell’ex partito comunista che salirono al Governo nella
seconda metà degli anni’90, quegli stessi dirigenti che ci trascinarono
nell’unione monetaria senza una consultazione popolare e importatori del
liberismo economico fino ad allora ignoto nel nostro ordinamento,
facendosi vanto della privatizzazione di aziende in attivo poi spolpate
da capitalisti di ventura. E’ in questo clima di caccia alle streghe,
tra gli arresti di Mario Chiesa, il suicidio di Sergio Moroni e gli
attentati terroristici paramilitari contro i giudici Falcone e
Borsellino che lo Stato Imprenditore protagonista del Miracolo Economico
viene soppresso dall’allora Governo Amato, tra i pochi superstiti del
Partito Socialista travolto dagli arresti, e dall’attuale presidente
della BCE Mario Draghi allora direttore generale del Tesoro, svendendo
gioielli come la Nuovo Pignone, la Lebole, il polo chimico e l’IRI, quel
gruppo industriale in grado di realizzare utili da capogiro che il
mondo ci invidiava. Allora come oggi, gli speculatori stranieri, Goldman
Sachs in testa, si giocavano le vesti dell’Italia ai dadi e la parola
d’ordine è sempre la stessa: abbattere il debito pubblico creato dalla
corruzione e instillare negli italiani quel senso di colpa e quel
disprezzo verso se stessi che un popolo esterofilo come il nostro poteva
facilmente accogliere. Ad oggi non esiste un solo caso di Stato a
moneta sovrana con cambi flessibili che sia imploso per il debito
pubblico e l’arma utilizzata dai finanzieri speculatori come George
Soros per attaccare la nostra economia fu proprio lo SME, e in questi giorni stiamo assistendo a una situazione analoga a quella del’92, ma certamente peggiore sotto il profilo economico,
perché agli inizi degli anni’90 venivamo da 40 anni di crescita
costante con un tasso medio del 4,36% di PIL, piazzandoci al primo posto
in Europa. Sì, la nostra economia era leader in Europa. Francia e
Germania ci guardavano con timore, perché sapevano che occorreva
eliminare questo pericoloso concorrente. L’aggressione riuscì grazie
anche al vuoto politico e dirigenziale innescato da Mani Pulite, che
lasciò il Paese sguarnito di una classe politica certamente macchiatasi
di gravi responsabilità e odiose ruberie, ma che aveva permesso
all’Italia di toccare l’apice del benessere economico.
A distanza di anni ci sembra più facile ricordare politici del calibro
di Giulio Andreotti, di Luigi Spaventa, di Aldo Moro e di Bettino Craxi
che annunciò e predisse l’inferno europeo in una memorabile intervista
del 1997, denunciando l’assurdità dei parametri economici di Maastricht.
Per colpire l’Italia era necessario abbattere quel muro maestro
rappresentato dalla classe politica della Prima Repubblica. Oggi
l’Eurozona rappresenta la tomba delle costituzioni democratiche dei
Paesi europei posti sotto schiaffo dalle direttive di una Commissione
Europea non eletta democraticamente e simbolo di un sistema
“robotizzato”,come definito puntualmente dal Professor Guarino e che
prosegue su questa linea direttrice senza guardare indietro,
distruggendo tutto ciò che si frappone sul suo cammino. Nella situazione odierna la finanza ha una potenza di fuoco ancora maggiore di quella che aveva nel 1992,
con Stati privi di una moneta sovrana e succubi dei mercati di capitali
e con strumenti finanziari come i derivati che rappresentano bombe a
orologeria innescate nel sistema che aspettano solo di detonare. Nel
2014, dopo 5 anni consecutivi di recessione economica, e un PIL che ha
registrato un calo complessivo di 6 punti percentuali e con l’Eurozona
che ci ha sottratto del tutto la sovranità monetaria e la leva della
spesa pubblica, ci sono analogie con quell’epoca ma non avendo più alle
spalle quel benessere economico che è stato il nostro scudo, e
soprattutto privi di una classe politica, sostituita da figurine la cui
caratteristica principale è la parlata svelta con termini anglosassoni
mal pronunciati, dalle maniche di camicia arrotolate e dal tacco 12
svettante di una dilettante che cita a sproposito Fanfani. I ministri di
oggi sono anonimi e privi di identità politica, sono controfigure che
non rispondono al popolo italiano, ma hanno i loro referenti negli
speculatori finanziari d’oltremanica e d’oltreoceano ai quali stanno
svendendo il Paese e il suo patrimonio culturale,sociale e industriale,
fedeli al culto dei capitalisti delocalizzatori sempre pronti a maledire
lo Stato quando si mette tra i piedi e non avalla i loro piani di
deflazione salariale, ma subito pronti a invocarlo per ripianare i buchi
di bilancio delle loro dissennate gestioni. Le perdite, si sa, sono
collettive e i profitti privati, con tanti saluti al libero mercato del
Paese delle Meraviglie. Il futuro che ci attende è cupo e incerto in questi giorni di saldi dei nostri beni pubblici,
ma il faro a cui dobbiamo rivolgerci è quello che ci donarono i padri
costituenti nel 1948: la Costituzione e gli articoli della parte
economica che prevedono un intervento diretto dello Stato per arrestare
la crisi indotta dalla finanziarizzazione del sistema economico e
abbandonare quella zona grigia governata dalle corporation che si sono
sostituite ai governi eletti democraticamente e soffocano il libero
sviluppo sociale, culturale ed economico della nazione.
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