La fine dell'euro si avvicina: che non sia un nuovo 1992...
Se saranno Visco o Draghi a gestire il post-euro continueranno a consegnare le chiavi del paese alla Troika
Prima Die Welt, poi The Spectator. La stampa internazionale rileva le condizioni di insostenibilità dell’euro per l’Italia.
I mercati a quanto pare stanno mandando un avvertimento, e l’epilogo di
questo esperimento disastroso dell’unione monetaria, dal punto di vista
economico e sociale, probabilmente giungerà al termine.
Non esiste un parametro per misurare la disperazione e i danni
che la disoccupazione crea nel tessuto sociale, ma ci sono le fredde
cifre che abbiamo spesso elencato per dimostrare che non si avrà alcuna
inversione di tendenza, ma la deflazione peggiorerà ancora di più. L’euro è stato costruito per non funzionare, è un edificio senza fondamenta, un palcoscenico senza impalcatura.
Mundell, l’economista che teorizzò la teoria dell’ Area Valutaria
Ottimale, individuava due condizioni fondamentali per rendere
sostenibile un’unione valutaria: una banca centrale prestatrice di
ultima istanza e un trasferimento di fondi dei paesi in surplus nella
bilancia dei pagamenti.
Sia l’una che l’altra condizione non sono state rispettate, la
Banca Centrale Europea, partecipata a maggioranza dalla Bundesbank, è
l’unico caso di banca centrale al mondo che non garantisce il pagamento
del debito pubblico degli stati membri, e per quanto riguarda
la seconda condizione, la Germania di Frau Merkel non sembra
intenzionata a trasferire alcunché, ma domanda ancora più austerità agli
altri paesi intimandogli di non superare i limiti di deficit
prescritti.
Ecco che ci troviamo in una fase in cui, il crollo dell’unione
monetaria si avvicina e dall’ordine di eventi che si susseguono in
fretta, possiamo intuire che non sarà un’uscita pianificata da un governo che abbia intenzione di uscire sotto nuovi auspici,
cambiando politica economica e sfruttando i vantaggi che una valuta
sovrana concede. Il precedente che può aiutarci a comprendere come
effettivamente queste transizioni vengano gestite, è quello dello SME
nel 1992. Lo SME era un accordo di cambi fissi entrato in vigore nel
1979, che consentiva una flessibilità valutaria della lira fino al 6% in
rapporto all’ECU. Dopo numerose speculazioni da parte della finanza
internazionale, il mantenimento della parità valutaria era divenuto
insostenibile per l’Italia e nel 1992 si annunciò l’uscita.
L’uscita dallo SME non fu gestita da un governo eletto dalle urne, ma dal Governo Amato,
il primo di una serie di governi tecnici a cui saranno affidate le
leve del comando e di cui ancora oggi molti si ricordano il prelievo
forzoso sui conti correnti bancari. Il’92 è un anno particolare, la
storia del Paese è attraversata da una catena di eventi che ne cambiano
inevitabilmente il decorso, e da quel momento in poi entriamo in una
fase nuova, in un sistema economico e giuridico incompatibile con la
Costituzione. Il Trattato di Maastricht firmato in
quell’anno, ricalca un’impostazione ordoliberista, parole nuove come
“concorrenza” e “libero mercato” entrano a far parte del vocabolario
economico, e l’interventismo dello Stato sarà sostituito e sanzionato da
una normativa europea che sanziona gli “aiuti di Stato”. Lo Stato
secondo la dottrina liberista, non deve aiutare ma limitarsi ad essere
spettatore, il suo intervento è richiesto solo per socializzare le
perdite e privatizzare i profitti. Questo cambio epocale è stato gestito
da una tecnocrazia, sempre con una formula, che un’espressione
anglosassone efficace definisce TINA, ovvero there is no alternative, non c’è alternativa.
Si deve accettare una soluzione imposta da organismi sovranazionali, la
possibilità di dibattito e di arbitrio sulla convenienza o meno di
questi cambiamenti non è contemplata. Gli artefici di questo cambiamento
ovviamente ignorano di ricordare che sono stati loro ad avvelenare il
pozzo, a compromettere la stabilità dell’edificio. Se provate ad
abbattere le colonne portanti di un edificio, questo irrimediabilmente
crollerà. I costruttori della globalizzazione hanno portato a compimento lo stesso processo. Sono
entrati dentro l’edificio stabile e sano, ne hanno abbattuto le colonne
e dopo sono usciti dicendo che era necessario cambiare il progetto e
costruire un nuovo edificio.
Lo SME, il divorzio Tesoro-Bankitalia, il Trattato di
Maastricht sono le fondamenta di un progetto che sta per implodere
nuovamente. Il Governo Amato in quell’anno distrusse lo Stato
imprenditore, svendette le partecipazioni statali e la finanza si
arricchì comprando i gioielli di famiglia per poche lire. La fine
dell’Euro oggi appare più vicina, ma questa transizione forse sarà
utilizzata per instaurare un nuovo sistema sociale ed economico, ancora
più restrittivo e recessivo di quello attuale. I nomi del successore di Renzi, vanno da Visco a Draghi,
ma la differenza è poca, chiunque siederà sulla poltrona di Palazzo
Chigi avrà solo il compito di consegnare le chiavi della nazione al
triumvirato tecnocratico della BCE, del FMI e della Commissione Europea e
limitarsi a smantellare quelle parti di stato sociale, sempre più
residue, rimaste in piedi. Ecco le ragioni dei segnali dei mercati e
della stampa internazionale sulla possibilità di un’uscita prossima
dell’Italia dall’euro, che con ogni probabilità sarà nelle mani degli
stessi protagonisti che ce l’hanno fatta entrare. La storia non cambia, non ci sono eletti che decidono, ma esecutori delle tecnocrazie.
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