Che l'uscita dall'euro non avvenga con una gestione tecnocratica
L'obiettivo è quello del commissariamento dell'Italia nella fase di transizione alla lira...
Da diverse
settimane si susseguono gli avvertimenti della stampa estera economica e degli
addetti ai lavori, che annunciano una fine imminente dell’eurozona. Se
proviamo a leggere tra le righe di questi messaggi, potremmo dire che qualcuno
dai piani alti abbia già deciso per noi come e quando dovremo uscire da questo
supplizio, con il rischio concreto di trovarci in mano una vittoria di
Pirro.
L’ex-ministro
delle Finanze Vincenzo Visco ha dichiarato:” il rischio di disintegrazione
dell’euro riguarda tutti i Paesi del Sud e potenzialmente anche la Francia. E
se si disintegra l’euro, fanno default tutti.” La prima parte dell’analisi
è senz’altro corretta, la seconda meno perché in caso di uscita dall’unione
monetaria, non è affatto detto che lo Stato che assuma tale decisione debba
dichiarare default sul proprio debito sovrano, avendo la facoltà di
riconvertire il debito nella valuta nazionale, nel caso italiano la nuova lira,
con l’applicazione della cara vecchia lex monetae. Chi accetta la riconversione
sarà pagato in una valuta diversa da quella originaria, chi non accetta rimarrà
all’asciutto. L’ipotesi che stiamo discutendo prevede che nell’eventuale uscita
del domani ci sia un governo che abbia una chiara strategia, una precisa
volontà di uscita ragionata e ordinata.
Nella
contemporaneità della politica italiana, mera esecutrice di ordini
sovranazionali, è lecito pensare che le cose non vadano nella direzione
auspicata e auspicabile, ma si pensi a un’uscita sgangherata, disordinata dove
in pochi capiranno la catena di eventi che si susseguiranno rapidamente,
rimanendone inevitabilmente travolti. Sappiamo che i poteri
sovranazionali mirano a un commissariamento del nostro Paese, e attendono
pazienti che gli si presenti il casus belli, per inviare le lettere di diffida
già redatte e pronte nei cassetti delle scrivanie di Bruxelles.
Un’occasione
potrebbe presentarsi con la legge di stabilità, per la quale Kaitanen, commissario
UE per gli affari economici e monetari, ha fatto sapere che ci sono dei profili
di irregolarità per ciò che attiene al disavanzo strutturale, da ridurre
secondo Bruxelles, e questo non rappresenta una novità visto che si chiedono
tagli alla spesa in misura sempre maggiori. Gli stessi poteri generalmente si
servono di manovalanza che deve indossare i panni del macellaio sociale, prima
Monti, Letta e ora Renzi, e finora quando questi personaggi hanno portato a
termine il loro lavoro, o non lo hanno fatto nella misura richiesta, sono stati
gentilmente accompagnati alla porta e scaricati, perché oramai divenuti
inservibili.
L’ultimo in
ordine cronologico, Renzi, sta portando avanti l’agenda assegnatagli,
anche se l’art.18 non è stato ancora abrogato, resta da realizzare l’agognata
svalutazione salariare da tempo domandata dai gruppi industriali
delocalizzatori, e forse dopo l’approvazione o meno del Jobs Act potrebbe
verificarsi già un primo avvicendamento nelle stanze dei bottoni, con un
Napolitano pronto alle dimissioni a dicembre o gennaio. Il candidato dell’UE al
Quirinale, non è un mistero, è Draghi che andrebbe a vestire i panni del
garante dell’agenda delle elite sovranazionali, e pochi giorni fa lo stesso
Draghi ha dichiarato:”
L’euro è
irreversibile e la Bce farà tutto quel che serve, nell'ambito del suo mandato,
per preservarlo. Comunque la Bce non ha alcun potere legislativo per obbligare
i Paesi membri a stare nell’euro o a lasciarlo”. Una dichiarazione già in sé
contraddittoria, con l’ultima parte dell’affermazione in contrasto con la prima.
Se gli stati membri possono lasciare l’euro quando e come vogliono, come può
essere l’euro irreversibile? Non lo è chiaramente, perché stiamo parlando
di un’unione monetaria prescritta in un trattato internazionale, dal quale si
può recedere in qualunque momento con la denuncia o il recesso, secondo gli
strumenti previsti dal diritto internazionale con la Convenzione di
Vienna.
Se Renzi
verrà sostituito e al suo posto nominato un nuovo premier - possibile la
candidatura del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco - con ogni
probabilità sarà il nuovo inquilino del Quirinale ad affidargli l’incarico e il
meccanismo che hanno pensato le strutture sovranazionali potrebbe delinearsi
sotto l’egida di un governo tecnico, l’ennesima tecnocrazia che oramai ha
sostituito il Parlamento e le istituzioni democratiche da tempo. La
prossima tecnocrazia, potrebbe essere quella che consegnerà le chiavi del Paese
alla Troika, il triumvirato che ha raso al suolo la Grecia.
Draghi ha
anche annunciato un ricorso al quantitative easing, quell’operazione di
politica monetaria che prevede l’acquisto dei titoli di Stato da parte della
BCE per calmierare i tassi di interesse, e mantenerli a livelli sostenibili in
un contesto dove gli stati membri emettono un titolo del debito denominato in
una valuta di cui non hanno l’emissione diretta. Un’ipotesi che Angela Merkel
ha sembrato non gradire, e se effettivamente Draghi dovesse lasciare la
poltrona dell’Eurotower, la Germania avrebbe una prateria per nominare il nuovo
presidente della BCE più gradito agli interessi e ai desiderata tedeschi, che
di certo non farà il QE. Un innalzamento dei tassi di interesse, renderebbe
insostenibile per gli stati membri il pagamento del debito, e a quel punto la
manovra che potrebbe scongiurare l’eventuale default, in questo caso
reale, sarebbe quella di un prelievo forzoso, per attingere alla liquidità
bloccata del risparmio di molti italiani, per ripagare i debiti con
l’estero.
Un risparmio
che fa gola alla Germania, che ha già parlato di “ risparmio eccessivo degli
italiani”. Solamente allora, l’Italia verrà lasciata andare. In questo caso l’uscita dall’euro è
contemplata, di certo non nel modo che molti economisti vorrebbero, attraverso
una pianificazione ragionata, ma secondo gli obbiettivi di forze esterne che
accompagneranno il Paese sull’orlo del baratro per poi scaraventarcelo. Le
analogie con un altro anno infausto, il 1992, ci sono e molte, anche se in quel
caso uscimmo a caro prezzo dallo Sme dopo numerosi attacchi speculativi della
finanza internazionale e aver svenduto i gioielli di famiglia. Vent’anni dopo,
la situazione è molto più drammatica, dopo 5 anni consecutivi di recessione e
una disoccupazione arrivata a livelli intollerabili. Quali riflessi potrà
avere un’uscita dall’euro in questo modo, su un Paese già
profondamente provato, è una previsione difficile da fare, ma sarà meglio
tenersi pronti a questa eventualità.
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