Per il dopo Napolitano, Renzi (o chi per lui) pensa a chi nel 1992 pianificò la distruzione dello Stato italiano
Draghi, Prodi, Amato, i favoriti alla corsa al Quirinale, tutti uomini chiave dopo la prima Tangentopoli
La ridda di ipotesi su chi sarà il prossimo inquilino del Quirinale
abbondano negli ultimi giorni del mandato di Giorgio Napolitano. Un dato
certo dal quale partire nell’analisi e nelle previsioni sull’ipotetico
presidente della Repubblica, non può non partire dal lascito di Re
Giorgio. Napolitano lascerà nelle mani del prossimo Capo dello
Stato, un sistema profondamente mutato, una forma di governo non più
democratica né più costituzionale, poiché già da tempo le
prerogative del Presidente si sono ampliate a dismisura, fino a fondere
le due figure di Capo del Governo e Capo di Stato, resosi l’interprete
più pedissequo e acceso dell’agenda tecnocratica eurista. Chi lo
succederà nell’incarico, dovrà avere quelle caratteristiche
fondamentali, essenziali per il governo sovranazionale europeo, di
fedele adesione al controllo sempre più invadente e totalitario delle
elite transnazionali.
Tra i nomi che sono stati avanzati, spicca in particolare, il “Dottor Sottile”, l’attuale giudice della Corte Costituzionale, Giuliano Amato. Deputato del PSI nei primi anni’80, dapprima ostile alla segreteria di Craxi, per poi successivamente affiancarlo come consigliere economico, Amato rappresenta il traghettatore nel sistema europeo; colui il quale ha applicato alla lettera le politiche economiche frutto della logica dell’emergenzialità artificiosa, necessaria per iniziare lo smantellamento dello Stato sociale. Nel 1992, mentre il PSI venne falcidiato dalle inchieste giudiziarie, Amato passa indenne la furente ondata giudiziaria e viene chiamato dall’allora neoeletto Presidente Scalfaro, a formare il governo dopo le elezioni, il 28 giugno 1992 . Il 2 giugno era già avvenuta la riunione sul panfilo Britannia, presenti tra gli altri Mario Draghi, il dirigente dell’Iri Riccardo Galli , Giovanni Bazoli dell’Ambroveneto; è in quell’occasione che si decide di sopprimere lo Stato imprenditore, dismettendo le partecipazioni statali dell’IRI, dell’EFIM, il polo chimico, l’IMI e la Nuovo Pignone, solo per citare alcune tra le privatizzazioni più rilevanti.
A realizzare il piano delle svendite statali fu chiamato proprio il Dottor Sottile. In quel momento l’Italia si trovava agganciata ad un accordo di cambi fissi, lo SME, che con il passare dei mesi si stava rivelando sempre più insostenibile per le casse della Banca d’Italia, costretta a difendere la parità valutaria con l’ECU imposta da quel accordo. La logica avrebbe considerato opportuno e auspicabile, abbandonare lo Sme subito, impedendo il progressivo peggioramento dei conti pubblici che stava svuotando le riserve valutarie della Banca d’Italia. Si andò nell’opposta direzione e Amato decise di approvare un provvedimento inedito nella storia delle manovre finanziare della Repubblica: il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti bancari. Il prelievo fu approvato con un decreto d’emergenza nella notte tra il 9 luglio e il 10 luglio, e gli italiani si risvegliarono l’indomani con le tasche alleggerite senza poter opporre resistenza.
Il peggio ancora doveva venire quando il Governo Amato nell’autunno successivo, approvò la manovra “lacrime e sangue” di 90000 miliardi di lire con tagli pesantissimi alla spesa pubblica e aumento delle imposte. La motivazione addotta fu quella di ripianare un dissesto delle finanze pubbliche, causato dagli eccessivi sperperi e dai costi dello stato sociale, divenuti insostenibili secondo una dialettica che non lascia spazio ad alternative e che ritroveremo costantemente fino ad oggi, quando si vogliono approvare manovre di stampo liberista. In realtà, i processi economici hanno poco a che fare con gli eventi naturali, sono reversibili e governabili se si utilizza l’elementare logica economica. La destrutturazione dell’economia italiana era stata già sapientemente preparata negli anni addietro, attuando il divorzio Bankitalia- Tesoro e il 1992 è il momento opportuno per il cambio di passo.
Il concetto di tecnocrazia applicato al Belpaese esordisce in quell’anno, quando il destino dell’Italia non è più affidato a governi politici, ma rimesso nelle mani di esecutori tecnici, considerati liberi da logiche elettorali e sconosciuti all’elettorato, dopo che quest’ultimo è stato sapientemente portato a odiare con tutte le sue forze la classe politica, pregna di corruzione e della quale è meglio liberarsi per fare spazio ai sogni, secondo l’espressione un noto comico toscano. Si abbandona il modello virtuoso di un Paese che godeva di un economia sana, in crescita e temuta dai concorrenti europei. Amato è certamente l’uomo che ha inaugurato il passaggio delle tecnocrazie nella recente storia italiana, il personaggio che ha saputo meglio incarnare le logiche finanziarie che oggi occupano un posto più alto nella gerarchia della scala dei valori costituzionali, anche grazie a lui. Giurista raffinato, eurista convinto e considerato tra i migliori professori di diritto pubblico in Italia, uno tra i pochi a possedere una conoscenza assoluta della materia, l’ex-presidente del Consiglio pare uno dei candidati più papabili a proseguire quel cursus storico che ha cambiato la storia del Paese. Renzi ha già annunciato che sarà il metodo Ciampi, la via preferenziale per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Ciampi, considerato tra i padri dell’Euro, venne eletto al primo scrutinio con 707 voti su 1010.
Se Renzi darà seguito alle sue parole, dovrà necessariamente passare dal consenso delle opposizioni, le quali hanno già espresso il loro gradimento per Giuliano Amato. Chiunque sarà chiamato a ricoprire il ruolo presidenziale, dovrà compiere il percorso iniziato più di venti anni fa. Un percorso che le élite hanno deciso che deve arrivare a destinazione, costi quello che costi, calpestando gli ultimi rimasugli di democrazia costituzionale.
Tra i nomi che sono stati avanzati, spicca in particolare, il “Dottor Sottile”, l’attuale giudice della Corte Costituzionale, Giuliano Amato. Deputato del PSI nei primi anni’80, dapprima ostile alla segreteria di Craxi, per poi successivamente affiancarlo come consigliere economico, Amato rappresenta il traghettatore nel sistema europeo; colui il quale ha applicato alla lettera le politiche economiche frutto della logica dell’emergenzialità artificiosa, necessaria per iniziare lo smantellamento dello Stato sociale. Nel 1992, mentre il PSI venne falcidiato dalle inchieste giudiziarie, Amato passa indenne la furente ondata giudiziaria e viene chiamato dall’allora neoeletto Presidente Scalfaro, a formare il governo dopo le elezioni, il 28 giugno 1992 . Il 2 giugno era già avvenuta la riunione sul panfilo Britannia, presenti tra gli altri Mario Draghi, il dirigente dell’Iri Riccardo Galli , Giovanni Bazoli dell’Ambroveneto; è in quell’occasione che si decide di sopprimere lo Stato imprenditore, dismettendo le partecipazioni statali dell’IRI, dell’EFIM, il polo chimico, l’IMI e la Nuovo Pignone, solo per citare alcune tra le privatizzazioni più rilevanti.
A realizzare il piano delle svendite statali fu chiamato proprio il Dottor Sottile. In quel momento l’Italia si trovava agganciata ad un accordo di cambi fissi, lo SME, che con il passare dei mesi si stava rivelando sempre più insostenibile per le casse della Banca d’Italia, costretta a difendere la parità valutaria con l’ECU imposta da quel accordo. La logica avrebbe considerato opportuno e auspicabile, abbandonare lo Sme subito, impedendo il progressivo peggioramento dei conti pubblici che stava svuotando le riserve valutarie della Banca d’Italia. Si andò nell’opposta direzione e Amato decise di approvare un provvedimento inedito nella storia delle manovre finanziare della Repubblica: il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti bancari. Il prelievo fu approvato con un decreto d’emergenza nella notte tra il 9 luglio e il 10 luglio, e gli italiani si risvegliarono l’indomani con le tasche alleggerite senza poter opporre resistenza.
Il peggio ancora doveva venire quando il Governo Amato nell’autunno successivo, approvò la manovra “lacrime e sangue” di 90000 miliardi di lire con tagli pesantissimi alla spesa pubblica e aumento delle imposte. La motivazione addotta fu quella di ripianare un dissesto delle finanze pubbliche, causato dagli eccessivi sperperi e dai costi dello stato sociale, divenuti insostenibili secondo una dialettica che non lascia spazio ad alternative e che ritroveremo costantemente fino ad oggi, quando si vogliono approvare manovre di stampo liberista. In realtà, i processi economici hanno poco a che fare con gli eventi naturali, sono reversibili e governabili se si utilizza l’elementare logica economica. La destrutturazione dell’economia italiana era stata già sapientemente preparata negli anni addietro, attuando il divorzio Bankitalia- Tesoro e il 1992 è il momento opportuno per il cambio di passo.
Il concetto di tecnocrazia applicato al Belpaese esordisce in quell’anno, quando il destino dell’Italia non è più affidato a governi politici, ma rimesso nelle mani di esecutori tecnici, considerati liberi da logiche elettorali e sconosciuti all’elettorato, dopo che quest’ultimo è stato sapientemente portato a odiare con tutte le sue forze la classe politica, pregna di corruzione e della quale è meglio liberarsi per fare spazio ai sogni, secondo l’espressione un noto comico toscano. Si abbandona il modello virtuoso di un Paese che godeva di un economia sana, in crescita e temuta dai concorrenti europei. Amato è certamente l’uomo che ha inaugurato il passaggio delle tecnocrazie nella recente storia italiana, il personaggio che ha saputo meglio incarnare le logiche finanziarie che oggi occupano un posto più alto nella gerarchia della scala dei valori costituzionali, anche grazie a lui. Giurista raffinato, eurista convinto e considerato tra i migliori professori di diritto pubblico in Italia, uno tra i pochi a possedere una conoscenza assoluta della materia, l’ex-presidente del Consiglio pare uno dei candidati più papabili a proseguire quel cursus storico che ha cambiato la storia del Paese. Renzi ha già annunciato che sarà il metodo Ciampi, la via preferenziale per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Ciampi, considerato tra i padri dell’Euro, venne eletto al primo scrutinio con 707 voti su 1010.
Se Renzi darà seguito alle sue parole, dovrà necessariamente passare dal consenso delle opposizioni, le quali hanno già espresso il loro gradimento per Giuliano Amato. Chiunque sarà chiamato a ricoprire il ruolo presidenziale, dovrà compiere il percorso iniziato più di venti anni fa. Un percorso che le élite hanno deciso che deve arrivare a destinazione, costi quello che costi, calpestando gli ultimi rimasugli di democrazia costituzionale.